Il collo della giraffa

Il termine italiano “cambiamento” deriva dal verbo latino “cambiare” nel significato di mutare, che discende a sua volta dal verbo greco “kambein”, curvare, piegare, girare intorno.

Qualcosa che è diventato diverso, che muta nella forma per effetto del verificarsi di un evento o di un’azione.
Oggi stiamo assistendo ad un epocale punto di svolta, molteplici scenari “in cerca d’autore” che si dispiegano modificando le loro forme, ridisegnandone i tratti e r-innovandone i contenuti.
Siamo entrati in un periodo di transizione verso un nuovo modello di sviluppo che metterà in discussione aspetti economici, gli assetti aziendali, le scelte decisionali, la quotidianità di ognuno.

Come in un romanzo distopico di fantascienza che incalza nella trama, spinti dalla curiosità di vedere ciò che accadrà nel frame successivo e che si svilupperà ‘oltre’, ognuno con diversi punti di vista ma tutti con l’intenzione di contribuire come persone e organizzazione a costruire quello che verrà.
Nasce così “Il lato positivo – scenari dopo l’emergenza”, un magazine agile e prima di tutto un incubatore di idee, visioni e futuro che si propone di raccogliere contributi utili a tratteggiare realtà possibili, accogliendo punti di vista differenti e multidisciplinari. Voli della mente che ne favoriscono l’apertura e la flessibilità, ragionamenti attorno al mondo e di come si continuerà a vivere in esso.

Il Lato positivo nasce con la volontà di condividere riflessioni, dare luce ai pensieri di ognuno che possano essere da spunto al vicino – alle nostre persone, ai nostri soci e più in generale a chi ci vorrà leggere e magari, perché no, contribuire a raccontare storie.
Sarà un collettore di contenuti pubblici, di prospettiva, prodotti da testate e think thank, selezionati con cura e curiosità per alimentare il dibattito.
Coltiviamo la speranza e perseveriamo nella buona volontà, per questo non escludiamo di produrre in prospettiva contributi originali. Per questo ringraziamo già Rossella Sobrero e Simone Spoladori che ci hanno regalato due prime riflessioni per spiegare il “perché” di questo numero zero.

Guardiamo attorno e oltre, e lo facciamo in modo collaborativo: la nostra redazione sarà composta da 25 persone (circa un quarto dell’azienda), perché ci piace innovare, creare valore e nutrire l’intelligenza collettiva. Dateci una settimana di tempo e dal prossimo numero ci presenteremo uno per uno!

Come il lungo collo della giraffa è diventato uno dei simboli della teoria evoluzionistica, è così che noi stiamo affrontando il cambiamento.

Italo Corsale, Direttore Generale CNS

CNS, ovvero: dalla crisi nasce l’inventiva

CNS in queste settimane ha rinnovato il suo modo di lavorare, di pensare e di agire.

L’emergenza, connotata da risvolti cupi e ostili, si è rivelata al contempo un potente acceleratore di innovazione e cambiamento, sperimentando su di noi come organizzazione e come persone la portata del cambiamento in corso e confermando che è “dalla crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie”.

Da subito reattivi ed uniti nella gestione immediata dell’emergenza, è emersa spontanea con il passare dei giorni l’esigenza di pensare al futuro e di ri-collocare i pezzi del puzzle. Come in ogni pausa caffè che si rispetti davanti la macchinetta, abbiamo sentito incalzante il bisogno di confrontarci, nelle nostre videoconferenze a margine o a priori, scambiando non solo idee ma consigli di letture, link di approfondimento che potevano accompagnare il ragionamento e quel sorso di caffè in compagnia, seppur digitalmente.

Luci cooperative

Questa newsletter sperimentale nasce in ambito CNS ma vuole essere permeabile ad altri mondi.

Per questo partiamo con una collaborazione con Coop Alleanza 3.0 che non fa parte del Consorzio ma che è tra le più grandi cooperative d’Europa con oltre due milioni di soci. Biljana Prijic, che farà parte della nostra redazione, lavora nella Comunicazione Corporate di Coop Alleanza 3.0, non crede nella separazione tra reale e digitale, ma crede molto nella cooperazione e nella capacità delle cooperative di contaminarsi sia online sia offline.

Il comunicatore e la sua metamorfosi

Rossella Sobrero, presidente FERPI Federazione Relazioni Pubbliche Italiana

La crisi che stiamo attraversando sta cambiando molte cose anche nella professione del comunicatore. E come per tutte le attività il cambiamento non potrà essere superficiale ma richiederà un profondo ripensamento.

1 – Il cambiamento, la nostra unica certezza
L’unica certezza in questo momento è l’urgenza del cambiamento. Non sempre la richiesta di modificare i propri comportamenti è vissuta in modo di positivo: per molti abbandonare la confort zone per esplorare soluzioni alternative può apparire difficile e faticoso. Per questo è necessario, come primo passo, modificare la relazione con il cambiamento e accettare l’idea che tutto cambia. Se per le imprese è strategico cambiare la prospettiva e considerare il profitto non come l’unica dimensione da considerare, per le persone è urgente modificare gli stili di vita quotidiani.
Il ruolo della comunicazione in questa fase è molto importante per stimolare, supportare, sostenere il cambiamento.

2 – La metamorfosi, un processo in corso
Stiamo vedendo come la comunicazione disintermediata può portare danni anche gravi: oltre alle fake news sono aumentati il frastuono e il rumore di fondo: possiamo parlare di uno sciame comunicativo dove tutti intervengono per esprimere la propria opinione anche quando non hanno competenze e conoscenze.
La comunicazione professionale è invece un processo fatto di azioni e strumenti, di tempi e di parole, di significati e di immagini che vanno utilizzate sapendo l’impatto che avranno.
Per rafforzare il proprio ruolo il comunicatore dovrà imparare a gestire le relazioni in modo sempre più efficiente ed efficace e valorizzare il patrimonio di relazioni che mette a disposizione delle organizzazioni con cui collabora.

3 – Resilienza sì ma trasformativa
In queste ultime settimane si parla molto di resilienza ma non abbastanza di resilienza trasformativa.
Solo quando è trasformativa la resilienza può trovare le soluzioni più efficaci per guardare oltre e modificare quello che non ha funzionato.
Sarà necessario imparare ad essere strabici: con un occhio guardare da vicino per cogliere le opportunità offerte dal momento, con l’altro vedere lontano per individuare la strategia a lungo termine. Diventa fondamentale avere una visione sistemica, aperta, collaborativa.

4 – Da cacciatori a giardinieri
Per valorizzare la professione dovremo sottolineare il nostro ruolo “tessitori sociali”. La nostra attività può infatti estendersi oltre i confini dell’organizzazione, per stimolare e coinvolgere i diversi attori sociali. Per farlo è necessario diventare sempre di più bravi giardinieri che coltivano le relazioni e non cacciatori che colpiscono un bersaglio.
Se cresce il valore del capitale relazionale, considerato sempre più importante anche dagli investitori, è il momento giusto per rafforzare il ruolo del comunicatore. Ci sono attività che sono sostituibili da soluzioni tecnologiche: la nostra non è una di queste!

Spunti per una comunicazione (inevitabilmente) trasparente

Simone Spoladori, Skills Management Group – Associate Partner

L’epidemia di Covid19 ci è a lungo apparsa una minaccia lontana. A gennaio osservavamo le immagini di Wuhan deserta, terribili e affascinanti, e pensavamo che il problema non ci avrebbe mai riguardato. Poi, di colpo, lo scorso 21 febbraio siamo precipitati dentro una situazione inedita, a cui eravamo e siamo tutti impreparati e che è difficile comprendere e razionalizzare proprio perché nulla di ciò che abbiamo direttamente vissuto fino ad oggi è lontanamente paragonabile.
Navighiamo a vista, spiazzati da un contesto in cui nemmeno la scienza sembra riuscire a darci le risposte che chiediamo, nette e prive di ambiguità. Davanti a questo senso di inadeguatezza, alcune organizzazioni, tra i tanti problemi da cui sono state investite e che si trovano ad affrontare, si trovano davanti ad alcune questioni delicate su un tema importante: la comunicazione.

Come comunicar(si)e all’esterno?
Che tono di voce scegliere?

Quale sarà il discorso più opportuno per il “dopo”, quando arriverà?
Un fatto curioso cui si è potuto assistere in queste settimane di lockdown è l’accelerazione improvvisa di alcuni processi che prima venivano visti nel mondo delle imprese come problematici o delicati, da affrontare insomma con cauta lentezza. Tra questi ce n’è uno che sento il bisogno di sottolineare. Sono infatti convinto da molti anni che per le organizzazioni sia finito il tempo di approfittare di una comunicazione mistificata e mistificante, di un’immagine costruita scientificamente a tavolino per “apparire” con vesti e forme lontane dalla realtà delle cose. Credo da tempo che le organizzazioni debbano sempre di più perseguire la via di una comunicazione diretta e trasparente, che non solo è “giusta” e coerente con il concetto amplissimo e ormai ineludibile di sostenibilità, ma è anche la sola destinata a creare relazioni profonde e durature con le persone cui è rivolta. L’epidemia è uno spartiacque che deve rendere chiara una verità: questo processo è irreversibile, poiché il bisogno di chiarezza e verità della maggior parte dei destinatari a cui le organizzazioni si rivolgono è cresciuto enormemente. Un buon punto di partenza sarebbe quello di vedere le organizzazioni non millantare certezze che non possiedono e fare un’onesta ammissione di umiltà, comprendendo come cercare di fornire informazioni tempestive e schiette sia molto più importante che tergiversare nell’attesa interminabile di conoscere tutte le risposte. Due terreni sono particolarmente fertili, in questo senso.

Per prima cosa, ho sempre pensato, che i dipendenti siano i primi ambasciatori delle imprese presso le comunità. Se non sono informati e non capiscono che cosa stia succedendo, le comunicazioni al di fuori dell’organizzazione sono problematiche. Un’azienda, oggi più che mai, ha il dovere di demistificare la propria situazione per i dipendenti e di dare chiarezza al futuro spiegando dettagliatamente, ad esempio, come saranno prese le decisioni sulle questioni più problematiche nella fase che ci attende, di convivenza con il virus, come il distanziamento sul posto di lavoro, la sanificazione degli ambienti, i viaggi di lavoro e la gestione del lavoro agile.

Seconda questione importante, secondo spunto su cui riflettere: le organizzazioni a questo punto della storia non possono e non devono più sottrarsi a un ruolo responsabile, illuminato ed equilibrato all’interno delle comunità. Non possono più percepirsi e comunicarsi come corpi estranei all’interno di esse, fingere di essere roccaforti impermeabili. Una crisi come questa è il momento perfetto per saldare i rapporti con le comunità locali nelle quali si opera, prefiggendosi innanzitutto di fornire trasparenza su ciò che accade all’interno dell’impresa, dando, laddove possibile, aiuti concreti e soprattutto condividendo le modalità con cui tali aiuti e supporti vengono forniti. Accantoniamo la paura di “vantarsi” e lasciamo il posto al bisogno di ispirare, di generare in tutti gli attori coinvolti un necessario spirito di emulazione.

Scaffale

“TEMPO VARIABILE” – JENNY OFFILL
Con una struttura spezzata, fatta di immagini, frammenti, battute, ricostruisce la vita di una madre che cerca di conquistare il proprio tempo “Variabile”

Fin dall’antichità il fattore tempo ha rappresentato una congerie di sfumature, il tempo perso, quello ritrovato, il tempo difficile da afferrare e quello quasi impossibile da decifrare.

Gli antichi greci lo distinguevano in Chronos e Kairos, il primo misurabile, quantificabile, il secondo è quello dell’immediato svanire, quello dell’opportunità di vivere i tanti aldilà.
È il tempo del ballerino, di chi volteggia senza curarsi di quello che arriverà dopo.
In questo periodo anche la gestione del tempo diventa Variabile, non facile l’oblio, arduo il godimento dell’attimo.
Nel libro di Offill sono tanti gli spazi vuoti, quelli da riempire, quelli con un tempo rigorosamente variabile.
Lizzie è una bibliotecaria, alterna libri e storie di chi le affida piccole parti della propria vita.
Quando la sua amica Sylvia le chiede di rispondere alle mail degli ascoltatori del suo podcast “cascasse il mondo “si apre un mondo nuovo, risponde agli ascoltatori su riscaldamento globale, valori occidentali, Trump, pensieri che trasportano Lizzie nel suo microcosmo, un processo osmotico che mette in discussione la sua vita, crollano le certezze, si alimentano le paure.
Lizzie resiste, si interroga, cerca disperatamente il proprio piccolo posto nel mondo.
Jenny Offill, con uno stile asciutto, con una struttura frammentaria, fatta di capitoli brevissimi ci racconta le ossessioni, le nevrosi collettive di una società che cerca ancora una via.

Sull’autrice
l suo romanzo d’esordio, “Le cose che restano” (NNE 2016), è stato scelto come Notable Book dell’anno dal New York Times, mentre “Sembrava una felicità” (NNE 2015) è stato selezionato come miglior libro dell’anno da New York Times Book Review, New Yorker Guardian, ed è stato finalista al Folio Award, al LA Times Award, al Pen/Faulkner e al Dublin Literary Prize. Il 14 febbraio 2020 Offill ha creato il sito Obligatory Note of Hope, una piattaforma collettiva per immaginare il futuro del pianeta: obligatorynoteofhope.com.

La sfida per i lettori

Pensando a quello che avete vissuto in questi 2 mesi, vi sfidiamo a pensare a 2 cose che avete imparato, 2 errori che avete fatto da non ripetere, 2 cose dalle quali secondo voi non si torna indietro. Se ne avete voglia: mandatecele! Le pubblicheremo nel prossimo numero.
Illatopositivo@cnsonline.it